“In questa mostra vengono presentate 100 tavole dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert che più direttamente richiamano la matematica  e la geometria applicata alla natura, ad altre scienze e al lavoro dell’uomo: nell’architettura, nell’astronomia, nelle tecniche artistiche, nella musica e negli strumenti, nelle scienze e nelle tecniche tradizionali, nell’arte militare e nei mestieri della vita quotidiana. Sarà possibile, inoltre, comprendere la vita del ‘700 attraverso la visione di tutte le 2794 tavole dell’Encyclopédie grazie ad una stazione multimediale appositamente attrezzata”.

(Prof. Renzo Baldoni, Direttore del Museo e curatore della mostra)

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LA MATEMATICA  NELL’ ENCYCLOPEDIE

DI DIDEROT E D’ALEMBERT (1751-72) in 100 tavole

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PREMESSA

Nei primi nove anni di vita, il Museo di Informatica e Storia del Calcolo di Pennabilli ha svolto un’intensa attività culturale attraverso pubblicazioni, mostre, iniziative, incontri, che hanno contribuito a diffondere la cultura scientifica fra i suoi visitatori, principalmente studenti ed insegnanti. Un Museo vivo non deve solo documentare e conservare strumenti e archivi, ma deve diventare un centro di educazione permanente.

Il Museo di Informatica e Storia del Calcolo ha finora realizzato ed esposto le seguenti mostre:

–         la storia del calcolo

–         i grandi matematici

–         un treno di…matematici

–         le tappe e gli uomini della matematica

–         il teorema di Pitagora

–         numeri interessanti

–         i regoli di Genaille

–         la storia dell’informatica

–         le applicazioni dell’informatica

–         esploriamo Internet

–         la realtà virtuale

–         il pendolo di Foucault

–         teneo te, Luna

–         il software didattico

–         l’informatica nella scuola

–         professione informatico (in collaborazione con il CNRS francese)

–         il Pi greco:storia e curiosità di un numero affascinante

–         i Frattali: un mondo autosomigliante?

La mostra La Matematica nell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert (1751-72)-100 tavole è la prima di una nuova serie di iniziative intese a “festeggiare” i primi 10 anni di vita del Museo.

Il Museo di Informatica e Storia del Calcolo di Pennabilli da museo scientifico desidera divenire sempre più museo-laboratorio, museo vivo, una significativa istituzione locale di educazione permanente. Si intende, perciò, intraprendere un importante rinnovamento e potenziamento delle attività culturali basato sul seguente progetto triennale:

      –     estate  2000:  La matematica nell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert-100tavole

–      autunno 2000:  mostra e convegno scientifico su “la teoria del tutto: un’unica legge alla base della natura?”

–      primavera 2001: le curve famose

–      estate 2001: i poliedri di Luca Pacioli

–      autunno 2001:  i caleidocicli di Escher

–       I°  semestre 2002: la macchina universale di Turing

–      II° semestre 2002: le radici europee del computer

I festeggiamenti del decennale del Museo auspichiamo possano concludersi con la creazione di un Laboratorio di matematica e con la pubblicazione di un volume, con cdrom allegato, da distribuire alle scuole in visita, alle biblioteche, alle università e ai centri di ricerca scientifici.

L’ENCYCLOPEDIE

  Nel 1751, con il titolo Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des Sciences, des Arts et des Métiers, venne pubblicato il primo volume dell’opera capitale dell’Illuminismo francese, destinata ad avere enormi conseguenze sul piano culturale, politico, sociale. Nei due anni seguenti, videro la luce altri otto volumi di testo e due volumi di tavole. E complessivamente ci vollero trent’anni prima che l’impresa editoriale più ambiziosa, per i contenuti e fini, di tutto il XVIII secolo fosse conclusa. La prima edizione della monumentale opera venne completata infatti nel 1781. Sotto la direzione di Diderot uscirono, fino al 1765, diciassette volumi di testo e, fino al 1772, undici volumi di tavole (Recueil de Planches); senza la collaborazione di Diderot seguirono, tra il 1772 e il 1777, quattro volumi supplementari di testo e un ulteriore volume di tavole; infine nel 1780-81 vennero pubblicati, ad Amsterdam, ancora due volumi contenenti gli indici ( Tables analitiques). La prima edizione comprendeva quindi trentacinque tomi in folio: i ventuno volumi di testo contenevano all’incirca 6000 voci o articoli (articles); ognuno di tali volumi era formato da circa 1000 pagine stampate su due colonne: in tutto dunque si trattava di circa 21.000 pagine in folio. I dodici volumi delle tavole contenevano 3132 incisioni su rame corredate dalle relative didascalie e descrizioni.

Si calcola che in Europa siano stati acquistati complessivamente 30.000 esemplari dell’opera. Fu investita la somma di 1.158.000 livres; ma sappiamo che il ricavo fu di 2.162.000 livres: gli editori, e in particolare Le Breton, con l’Encyclopédie si arricchirono. Quella che si era presentata come una delle più grandi imprese editoriali del secolo divenne  anche un grosso affare.

Nel 1747 Le Breton si rivolse a Diderot proponendogli il lavoro e Diderot subito si assicurò la collaborazione dell’amico D’Alembert soprattutto per la redazione della parte matematica.

Il trentacinquenne Diderot era già noto a quel tempo come uomo di lettere ricco di spirito e dai vari interessi, scrittore e filosofo, soprattutto per i suoi Pensées philosophiques (1746) e per la famosa Lettre sur les Aveugles à l’usage de ceux qui voient (1749). Ben presto Diderot abbozzò l’idea di elaborare un’enciclopedia del tutto nuova e davvero universale che avrebbe dovuto essere ben diversa da ogni altra precedente, ottenendo con il progetto un privilegio del re per l’edizione. Così Diderot poté nel 1750 annunciare nel notevolissimo Prospectus l’imminente pubblicazione del primo volume dell’ Encyclopédie.

Fondamentale importanza ebbe poi il Discours préliminaire di D’Alembert posto in apertura del primo volume dell’Encyclopédie  che, enunciando il programma filosofico e l’impegno intellettuale di tutta l’opera, si qualifica come l’essenziale ragione dell’iniziale grande successo. L’autore era già a quel tempo uno studioso di fama europea, membro illustre delle Accademie di Parigi, Berlino e Londra e amico di Federico il Grande. Il Discours  non fece che completare la sua fama: esso si conta tra i testi classici dell’Illuminismo (v. Appendice).

Un’opera  che si presentava con il vastissimo obiettivo di offrire tutto il sapere umano, accuratamente vagliato  ed esposto in modo critico, con la pretesa di essere una vera Summa dello scibile “all’altezza del secolo”, non poteva ovviamente essere il risultato del lavoro di pochi autori. L’Encyclopédie è infatti un lavoro a più mani con l’intervento di 178 autori. Nell’elenco degli autori si trovano, insieme a molti sconosciuti, le più famose personalità del secolo, da Diderot e D’Alembert a Voltaire, Rousseau, Montesquieu, Buffon, Quesnay, Turgot, Condorcet. La parte di gran lunga più pesante del lavoro di redazione e di stesura delle voci dell’Encyclopédie venne sostenuta da Diderot, che ha dedicato all’opera venticinque anni della sua vita. D’Alembert si ritirò nel 1758 dopo l’uscita del settimo volume; Voltaire lo aveva preceduto; Rousseau lo seguì.

Nell’Encyclopédie confluiscono quasi tutte le correnti della Francia illuminista prerivoluzionaria. Il lavoro ebbe un duplice scopo. Come enciclopedia esso doveva illustrare la gerarchia e la correlazione di tutte le conoscenze umane, dimostrare l’unità del sapere in tutte le possibili coerenti connessioni e dunque adempiere a un fine soprattutto filosofico. Esso però doveva anche essere un Dictionnaire raisonné delle scienze, delle arti e della tecnologia, e dunque contenere i principi generali su cui queste attività si basano, nonché le particolarità essenziali che le caratterizzano nel loro complesso e nei contenuti. L’opera doveva perciò essere un testo di consultazione, un “deposito del sapere”, in grado di fornire notizie sui più recenti, per l’epoca, stadi di sviluppo della scienza e della tecnica; doveva servire come mezzo d’istruzione, di formazione, d’insegnamento pratico per ogni tipo di lettore in ogni campo del sapere e della vita, diventando perciò anche portavoce di nuove idee religiose, politiche e sociali. L’opera, nella ferma convinzione degli autori, era pensata come arma della critica contro la società e la religione, come un arsenale di argomenti e armi d’offesa per la battaglia con cui realizzare, nello spirito dell’Illuminismo, un nuovo ordine per la vita dell’uomo, basato sulla ragione e sulla libertà. L’opera di Diderot può essere considerata anche come un compendio di informazioni tecniche, nella posizione di rilievo che spetta alla tecnologia. Per l’Enciclopédie , la tecnica si configura come il veicolo per la volgarizzazione delle idee illuministiche e, al tempo stesso, dà corpo alla tendenza verso una rifondazione delle attività tecnico-industriali e manuali per mezzo della scienza, facendo così diventare la formazione scientifica e l’illuminismo importanti fattori educativi.

Nel complesso l’opera presenta, in singoli articoli specialistici e nella totalità delle tavole, un ampio ma statico quadro dello stadio di sviluppo raggiunto dalla tecnologia prima dell’avvento della Rivoluzione industriale. Le idee sostenute e divulgate dall’ Encyclopédie, relative a una secolarizzazione del sapere e del pensiero, a un rifiuto dell’autorità costituita, alla fede della onnipotenza della Ragione e dell’esperienza, ma soprattutto alla fede nella scienza, nel progresso e nella capacità, per l’uomo, di portare a termine ogni impresa, corrispondevano perfettamente al pensiero già espresso in altri testi della letteratura illuministica.

Le correnti spirituali dell’Encyclopédie contribuirono di certo a spianare la strada alla rivoluzione borghese del 1789; esse sfociano nelle idee sulla scienza e sull’educazione che la Rivoluzione farà proprie, nelle concezioni scientifiche che, considerando gli ulteriori sviluppi della storia della tecnica, portano al momento, di storica importanza, in cui nasce l’ école polytechnique (1794), tra i cui veritables fondateurs o padri spirituali  si possono certamente porre gli autori dell’Encyclopédie.

In essa, il riconoscimento dell’unità di tutte le attività tecniche, fondata sulla matematica e sulla storia naturale, venne espresso in modo così valido da continuare ad agire per tutta l’era industriale.

DIDEROT

 Denis Diderot (1713-1784). Scrittore francese, nato a Langres e morto a Parigi. Dopo aver compiuto gli studi presso i Gesuiti, abbandonò tutto per studiare liberamente da solo, vivendo dieci anni di lezioni, traduzioni e lavori librari. Con D’Alembert iniziò l’Encyclopédie; nel 1749 fu rinchiuso nella prigione di Vincennes per le sue Lettere sui ciechi. Appena uscito di prigione riprese il gigantesco lavoro dell’Encyclopédie che terminò nel 1765. Dal 1773 al 1774 soggiornò a Pietroburgo presso Caterina II che gli aveva concesso una pensione; trascorse poi gli ultimi anni a Parigi lavorando intensamente e morì lasciando molte opere inedite. Un aneddoto interessante riguarda il grande matematico Eulero e il filosofo ateo ( o panteista) Diderot. Invitato dalla grande Caterina a visitare la sua corte, Diderot consacrava i suoi ozi a convertire i cortigiani all’ateismo; avvertita, l’imperatrice incaricò Eulero di mettere la museruola al frivolo filosofo. Era una missione facile, perché parlare di matematica a Diderot, era come parlargli cinese. De Morgan ci racconta ciò che accadde:”Diderot fu avvertito che un matematico d’ingegno possedeva una dimostrazione algebrica dell’esistenza di Dio e che l’avrebbe esposta davanti a tutta la corte, se avesse desiderato ascoltarla; Diderot accettò con piacere…Eulero avanzò verso Diderot e gli disse gravemente, con un tono di perfetta convinzione: “Signore,  : dunque Dio esiste:rispondete!”. Questo discorso aveva l’aria di essere sensato agli orecchi di Diderot. Umiliato dalle pazze risate che accolsero il suo silenzio imbarazzato, il povero filosofo domandò a Caterina il permesso di tornare in Francia ed ella glielo accordò molto volentieri.

Come matematico valeva poco; pubblicò una mediocre raccolta di “Mémoires Mathématiques” (Parigi,1748), dove in pratica tratta solo della sviluppante o evolvente di circolo. In altri campi, invece, raccolse ben meritati allori. La sua vasta produzione comprende opere filosofiche, fra cui:

Saggio sul merito e la virtù, Pensieri filosofici, Pensieri sull’interpretazione della natura; critica letteraria e artistica, come: Discorso sulla poesia drammatica, Elogio di Richardson, Il paradosso sul commediante, Salons; romanzi e racconti, fra cui: La religiosa, Il nipote di Rameau, Giacomo il fatalista, I due amici di Bourbonne; e drammi, quali: Il figlio naturale, Il padre di famiglia.

D’ALEMBERT

  Jean Le Rond d’Alembert (1717-1783) è senza dubbio la più eminente personalità matematica che la Francia abbia prodotto durante la prima metà del secolo XVIII. La parte più cospicua degli scritti  scientifici di d’Alembert concerne la meccanica (razionale e celeste),non esclusa l’idrodinamica , la fisica matematica (ottica e acustica) e l’analisi pura. A 26 anni pubblicò il Traité de Dynamique, con il metodo generale per porre in equazione i problemi della dinamica che reca ed è destinato a portare sempre il nome di « principio di d’Alembert »; arrivò a spiegare per primo il fenomeno della precessione degli equinozi, che ha tanta importanza in astronomia, e poté arrecare all’idraulica contributi del più alto valore. Più interessante per noi la sua memoria Réflexions sur la cause générale des vents nella quale fu indotto a congegnare il primo ragionamento per dimostrare la proposizione fondamentale della teoria delle equazioni algebriche. Di notevole importanza sono i contributi da lui dati all’analisi infinitesimale e suggerì un’applicazione del calcolo integrale alla dimostrazione della formula di Taylor che indusse Condorcet a designare quella formula come teorema di d’Alembert . La rettificazione dell’asteroide regolare lo condusse a conseguenze paradossali che vennero chiarite in Italia (Mascheroni, Gratognini). Gli integrali ellittici o riducibili a tali lo portarono a uno scontro (per diritti di priorità) con V. Riccati. Sulle equazioni differenziali, dimostrò l’esistenza del fattore integrante per quelle del I° ordine e l’integrazione di alcune d’ordine superiore.Per primo si è occupato di sistemi di equazioni differenziali.

Alla teoria delle corde vibranti egli diede assetto pienamente soddisfacente; riguardo, invece, alla questione del significato da attribuirsi al logaritmo dei numeri negativi, fu, a torto, avversario di Euler e sostenitore di G. Bernoulli. D’Alembert, malgrado la vastità ed importanza delle sue ricerche matematiche, non esercitò grande influenza sulle masse, probabilmente perché fu un espositore ben poco felice e adottò le peggiori delle notazioni.

Nella moltitudine di sforzi per introdurre il rigore nel calcolo infinitesimale, pochi erano sulla strada giusta. Fra questi i più notevoli furono quelli di d’Alembert e, prima ancora, di Wallis. Nell’articolo Différentiel  dell’Encyclopédie d’Alembert dice:” Newton non ha mai considerato il calcolo differenziale come un calcolo di infinitesimi, ma come un metodo delle prime e ultime ragioni, cioè come un metodo per trovare il limite di questi rapporti”. D’Alembert definiva però il differenziale come “una quantità infinitamente piccola o almeno più piccola di qualunque grandezza assegnabile”. Egli riteneva che il calcolo di Leibniz potesse essere edificato su tre regole per i differenziali, anche se preferiva considerare la derivata come un limite. Nella sua ricerca dell’uso dei limiti anch’egli, come Euler, afferma che 0/0 può essere uguale a qualunque quantità si voglia. In un altro articolo, intitolato Limite, d’Alembert dice:” La teoria dei limiti è la vera metafisica del calcolo…Nel calcolo differenziale non si ha mai a che fare con quantità infinitesime, ma unicamente con limiti di quantità finite. Perciò la metafisica delle quantità infinite e infinitamente piccole,più grandi o più piccole l’una dell’altra,è completamente inutile per il calcolo differenziale”.

Gli infinitesimi erano semplicemente un modo di esprimersi che evitava la più lunga descrizione in termini di limiti. In effetti, d’Alembert diede una buona approssimazione della definizione corretta di limite in termini di una quantità variabile che si avvicina a una quantità fissa meno di una qualunque quantità data, anche se pure lui parla di una variabile che non raggiunge mai il limite. Non diede tuttavia un’esposizione formale del calcolo infinitesimale che incorporasse e utilizzasse le sue idee, che sono fondamentalmente corrette. Anche d’Alembert rimaneva nel vago su un certo numero di punti; definiva, ad esempio, la tangente a una curva come il limite della secante quando i due punti d’intersezione diventano uno solo. Questa vaghezza, specialmente nell’enunciazione della nozione di limite, fece sì che molti discutessero se una variabile può raggiungere il suo limite. Poiché non esisteva alcuna esplicita presentazione corretta del calcolo infinitesimale, d’Alembert ammoniva coloro che si accingevano a intraprenderne lo studio con la frase:” Andate avanti, e la fede vi verrà”.

D’Alembert distingue le serie convergenti da quelle divergenti. Nell’articolo Série dell’Encyclopédie dice:” Quando la progressione o serie si avvicina sempre di più a una quantità finita e, di conseguenza, i termini della serie, o le quantità di cui è composta, vanno diminuendo, si dice che la serie è convergente e se si continua all’infinito essa diventerà infine uguale a questa quantità. Così, ½+1/4+1/8+1/16+…. formano una serie che si avvicina sempre a 1 e che diventerà uguale a esso quando la si prosegue all’infinito”.

Nel 1768 d’Alembert espresse dei dubbi sull’uso delle serie che non sono convergenti, dicendo negli Opuscules mathématiques: “ Quanto a me, confesso che tutti i ragionamenti basati sulle serie che non sono convergenti…mi appaiono molto sospetti, anche quando i risultati sono in accordo con verità a cui si è pervenuti per altre vie”.

D’Alembert, nell’articolo Fondamental contenuto nel volume VII (1757) dell’Encyclopédie, attaccò Bernoulli. Egli non credeva che tutte le funzioni periodiche dispari potessero essere rappresentate da una serie quale  , perché la serie è due volte derivabile mentre ciò non accade necessariamente per una funzione periodica dispari. Tuttavia, anche quando la curva iniziale è sufficientemente derivabile – e d’Alembert, nel lavoro del 1746, richiedeva che lo fosse due volte- essa non è necessariamente rappresentabile nella forma di Bernoulli. Per lo stesso motivo d’Alembert criticava le curve discontinue di Euler. La disputa fra d’Alembert, Euler e Bernoulli continuò per un decennio senza che venisse trovato un accordo. L’essenza del problema era l’estensione della classe delle funzioni che possono essere rappresentate dalle serie dei seni o, più in generale, dalle serie di Fourier.

All’inizio del secolo la maggior parte dei matematici riteneva che le diverse radici dei numeri complessi introducessero diversi tipi o ordini di numeri complessi e che dovessero esistere radici ideali la cui natura non erano in grado di specificare ma che potevano in qualche modo essere calcolate. D’Alembert, invece, nella sua memoria, premiata, intitolata Réflexions sur la cause générale des vents(1747), affermò che ogni espressione costruita a partire da numeri complessi mediante le operazioni algebriche (fra le quali includeva l’elevazione a una potenza arbitraria) è un numero complesso della forma . L’unica difficoltà che aveva nel provare quest’asserzione era il caso di . La sua dimostrazione di questo fatto dovette essere emendata da Euler, Lagrange e altri. Nell’Encyclopédie d’Alembert mantenne un silenzio discreto sui numeri complessi.

Il secolo XVIII era soprattutto interessato alle applicazioni della matematica alla scienza e poiché le regole operative erano intuitivamente sicure, almeno per i numeri reali, nessuno si preoccupò seriamente dei fondamenti. Tipica è l’affermazione di d’Alembert nell’articolo sui numeri negativi dell’Encyclopédie. L’articolo non è del tutto chiaro e d’Alembert  conclude dicendo che “le regole algebriche delle operazioni con i numeri negativi sono generalmente ammesse da ognuno e riconosciute esatte, qualunque sia l’idea che uno può avere su queste quantità”. I vari tipi di numeri, mai portati correttamente alla luce, acquisirono tuttavia una posizione più salda nella comunità matematica del Settecento. Sempre sull’articolo Différence de l’Encyclopédie, a proposito della lettera di Newton a Collins del 1672 sul metodo di Sluse e di Gregory per le tangenti, d’Alembert scrive: “ Questa lettera, che si vuole trasmessa a Leibniz, contiene il metodo per trovare le tangenti delle curve, ma l’applicazione che se ne dà si riferisce solo alle curve le cui equazioni non presentano radicali. Questa lettera non contiene quindi il calcolo differenziale ma solo il calcolo di Barrow per le tangenti un po’ semplificato. E’ vero che Newton vi fa menzione di un suo metodo per trovare le tangenti di ogni genere di curve, geometriche e meccaniche, vi siano o non vi siano radicali nelle equazioni, ma si limita solo a dichiararlo”.

Le discussioni sui fondamenti (o sulla metafisica, come si diceva allora) del calcolo, inaugurata dalle critiche di Berkeley, si mantenne assai viva per tutto il Settecento e ad essa presero parte i più autorevoli matematici. D’Alembert chiarì le proprie posizioni in diversi articoli dell’Encyclopédie, in particolare nella voce Limite, da cui è tratto il passo seguente: “ La teoria dei limiti è la base della vera metafisica del calcolo differenziale.[…] A dire il vero, il limite non coincide mai, o non diventa mai uguale alla quantità di cui è il limite, ma questa vi si avvicina sempre di più e può differirne tanto poco quanto si vuole. Il cerchio, per esempio, è il limite dei poligoni circoscritti e inscritti poiché non si confonde mai rigorosamente con essi benché essi possano avvicinarvisi all’infinito. Questa nozione può servire a chiarire diverse proposizioni matematiche. Per esempio, si dice che la somma di una progressione geometrica decrescente, il cui primo termine è a e il secondo b , è ; questo valore non è affatto, propriamente, la somma della progressione, è il limite di questa somma, cioè la quantità a cui essa si può avvicinare tanto quanto si vuole senza mai arrivarvi esattamente. Infatti se e è l’ultimo termine della progressione, il valore esatto della somma è aa-be/a-b, che è sempre più piccolo di aa/a-b perché in una progressione geometrica anche se decrescente, l’ultimo termine e non è mai =0: ma, siccome questo termine si avvicina continuamente a zero, senza mai giungervi, è chiaro che zero è il limite  e di conseguenza il limite di aa-be/a-b è aa/a-b, supponendo e=0, cioè mettendo al posto di e il suo limite”.

Per la sua difesa del progetto dell’Encyclopédie, d’Alembert diventò famoso come “la volpe dell’Enciclopedia” e, attraverso l’amicizia di Voltaire e di altri “philosophes”, d’Alembert contribuì ad aprire la strada alla Rivoluzione Francese. Alla giovanissima età di 24 anni fu eletto all’Accadémie des Sciences, e nel 1754 ne divenne il secrétaire perpetuel, e in tale veste fu forse lo scienziato più influente in Francia.

IL ‘700 : SECOLO  DEI  LUMI

  Nel ‘600, grazie alle brillanti intuizioni scientifiche e all’audacia di pensatori quali Newton, Galilei, Bacone, Locke e Cartesio molte certezze radicate nel passato cominciavano a vacillare e ben presto sarebbero state spazzate via dalla ragione critica settecentesca. Con la scomparsa del re Sole, nel 1715, la Francia si libera finalmente dal clima di conservatorismo e intolleranza che aveva caratterizzato l’ultima fase del regno di Luigi XIV. Vi erano seri motivi di delusione e scontento: l’economia mercantile veniva messa in discussione, l’agricoltura era ancora arretrata, le popolazioni rurali erano stremate dalla fame, dalle epidemie e dalle continue guerre; voci di biasimo sempre più numerose si alzavano contro il lusso, il parassitismo e i privilegi della classe nobiliare. La borghesia era esclusa dai privilegi dell’aristocrazia. Nel corso del secolo, l’incremento demografico e il miglioramento delle condizioni economiche contribuirono a dare vita a una nuova fede nella ragione e nel progresso dell’umanità. Il razionalismo propugnava un’acerrima battaglia contro i concetti e i costumi medievali. Pensatori come Voltaire, d’Alembert e Maupertuis indicarono nella ragione la facoltà necessaria per potersi attenere ai fatti, senza perdersi in teorie metafisiche non verificabili. L’empirismo di Locke e l’esigenza newtoniana di una spiegazione unitaria dei fenomeni naturali furono riprese in campo più squisitamente filosofico da E. Bonnot abate di Condillac (1714-1780). Dalle premesse sensiste di Condillac, Helvétius (1715-1771) concluse che gli uomini, inizialmente uguali, venivano poi plasmati dall’ambiente. Esperienze, educazione, frequentazioni diverse producono le condizioni dell’ineguaglianza che è alla base della distinzione in classi sociali. Per migliorare l’uomo deve mutare le proprie condizioni materiali, innanzi tutto le forme di governo, come l’assolutismo monarchico, che sono cause di miserie. Oltre a conseguenze sul piano della politica e della critica sociale, il materialismo illuministico si oppose a ogni moralismo religioso.

I nuovi intellettuali francesi, i philosophes, formavano un vero e proprio partito di opposizione che, nonostante la presenza di divergenze teoriche piuttosto forti al suo interno,sembrava comunque destinato ad animare una radicale svolta nella storia europea. La critica alle istituzioni religiose, politiche e culturali del tempo, la ristrutturazione del sapere in nuove categorie e sistematiche, unitamente all’ambizioso progetto di costruire una società completamente rinnovata, laica e guidata dalle leggi di natura  costituivano i nodi centrali della filosofia illuminista che sarebbe sfociata nella rivoluzione del 1789. Gli strali degli illuministi si abbattevano contro il fanatismo della cultura cattolica, con la sua intolleranza, i suoi dogmi, la sua rigida organizzazione gerarchica e contro l’assolutismo monarchico. La filosofia dei Lumi coinvolgeva ogni sfera del sapere e portava a una ristrutturazione della concezione, non solo della politica e della religione, ma anche della scienza, dell’arte, della letteratura e dell’economia.

“L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso.[…] Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! E’ questo il motto dell’illuminismo”. Il filosofo I. Kant scriveva queste pagine nel 1784, quando si era ormai consolidato lo spirito critico che aveva animato la battaglia dei Lumi. Della diffusione dei valori della nuova cultura borghese fu strumento L’Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri a cui collaborarono personaggi più o meno noti; il merito maggiore va a Diderot che scrisse 1139 articoli di storia, arte, filosofia e letteratura e corresse gran parte del testo altrui allo scopo di assicurare un’unità di pensiero. Le voci di matematica, fisica e meccanica furono redatte da d’Alembert. Tra gli altri collaboratori sono da ricordare Montesquieu, Voltaire, Helvétius, Condillac, Rousseau (per la musica), Quesnay, Turgot (per l’economia), Marmontel (per la critica letteraria) e Buffon (per le scienze naturali).

Nell’ambito tecnico-.scientifico era evidente l’urgenza che animava l’ Enciclopedia di diffondere il sapere di una cultura rinnovata. I progressi della meccanica e dell’astronomia del Cinquecento e del Seicento si consolidarono nel secolo successivo sulla base di metodi matematici ormai stabiliti e trovarono ampia diffusione grazie all’opera non tanto degli scienziati, quanto dei letterati. Gli stessi scopi dell’Enciclopedia enunciati da d’Alembert nel celebre Discorso preliminare, ossia l’ordinamento e l’unificazione delle conoscenze, erano in perfetta sintonia con le esigenze degli scienziati. Secondo il filosofo illuminista, attraverso l’uso di tre facoltà, la memoria, la ragione e l’immaginazione, si giunge alla distinzione dei tre oggetti di conoscenza, storia, filosofia e belle arti, che rappresentano gli ambiti più generali dell’albero genealogico del sapere. In particolare la filosofia coincide con la conoscenza scientifica della natura su base matematica poiché studia le proprietà degli esseri che possiamo conoscere direttamente solo attraverso i sensi. Se il sistema newtoniano entra a far parte delle conoscenze collettive attraverso la trattazione di d’Alembert, nell’ambito scientifico quelle teorie appaiono, fin dalla pubblicazione dei Principia Mathematica (1687), il nuovo paradigma di riferimento (e a volte di scontro) per gli scienziati settecenteschi, da Laplace a Gauss, da Eulero a Lagrange. Newton aveva operato una rivoluzionaria sintesi che permetteva di spiegare, con un’unica teoria, i movimenti dei corpi celesti e dei fenomeni terrestri.

In questa direzione continuarono gli studi delle Accademie scientifiche dove si susseguirono applicazioni e verifiche: la natura venne osservata, imitata sperimentalmente e infine interpretata secondo leggi generali formulate grazie agli apparati della matematica, in particolare del calcolo infinitesimale di Leibniz e Newton.

Nell’ambito della fisica grande importanza rivestirono gli studi sui fenomeni elettrici che portarono alla scoperta da parte di Coulomb (1736-1806) dell’attrazione e repulsione delle cariche, all’ideazione del parafulmine da parte di Franklin (1706-1790), alla dimostrazione dell’esistenza dell’elettricità animale attraverso gli esperimenti di Galvani (1737-1798) e all’invenzione della prima pila di Volta (1745-1827).

Nel secolo dei Lumi la medicina prese lezione dai fatti interpretati con i criteri quantitativi della meccanica e della chimica, facendo propria l’esigenza di interdisciplinarietà tipica dello spirito enciclopedico. Nelle scienze naturali divenne prioritario l’ordinamento delle conoscenze; i resoconti delle spedizioni scientifiche e delle esplorazioni delle colonie riversarono sul continente  una tale quantità di informazioni da imporre l’esigenza di una classificazione rigorosa dei nuovi esemplari vegetali e animali. La conquista più originale della scienza settecentesca fu il concetto di evoluzione che, attraverso Buffon e Lamarck, portò nel secolo successivo alle teorie di Darwin.

Il settecento segnò una svolta anche per la chimica, che ottenne dignità di scienza autonoma. L’antecedente della chimica moderna può essere indicata nella teoria del flogisto, che permise di convogliare l’attenzione sui fenomeni di combustione e ossidazione, anche se la spiegazione proposta presentò fin dal nascere numerosi punti deboli. Lavoisier (1743-1794) da un lato demolì alla base la teoria del flogisto scoprendo la funzione dell’idrogeno nei processi di combustione, dall’altro introdusse un’indagine quantitativa dei fenomeni che permise di elaborare una rigorosa nomenclatura degli elementi. Veniva così fondata la chimica moderna, finalmente separate dalla fisica. Non si deve però dimenticare che le scoperte e le invenzioni che caratterizzarono questo fecondo secolo furono in gran parte dovute ai notevoli progressi compiuti dalla tecnica. La scienza settecentesca fiorì in un contesto sociale ed economico che poneva un numero sempre crescente di domande pratiche, come testimoniava l’entusiasmo con cui vennero accolte le prime realizzazioni della macchina a vapore e le applicazioni pratiche degli studi sull’elettricità. L’opera di diffusione delle conoscenze scientifiche attuata dall’ Encyclopédie incarnava perfettamente la concezione auspicata da Bacone un secolo prima, secondo cui il valore sociale e pubblico di una scienza feconda si realizzava nell’unione di teoria e pratica. Il sapere tecnico-artigianale, nascosto nelle botteghe rinascimentali e tramandato dai maestri delle arti o dai manuali specializzati, entrò in rapporto dal Seicento in poi con la ricerca scientifica e ottenne un riconoscimento ufficiale nell’Encyclopédie. Diderot raccolse la documentazione necessaria al suo intento andando a interrogare gli artigiani nelle botteghe, procurandosi a volte le macchine più semplici per vedere come un’opera nasceva e per descriverne la produzione. Frutto di tanta attenzione ai mestieri tradizionali, soprattutto a quelli meno meccanizzati, furono gli 11 volumi dedicati alle tavole delle arti e dei mestieri; le tecniche erano così più vicine al grande pubblico e risultavano integrate nel sapere culturale egemonico.

I MATEMATICI DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE

  L’età delle rivoluzioni non interessò soltanto la sfera della politica. I matematici francesi vissuti al tempo della rivoluzione non solo diedero numerosi contributi all’insieme delle conoscenze matematiche, ma furono in larga misura i promotori delle principali linee di sviluppo dell’esplosiva proliferazione della matematica avvenuta nel secolo successivo. Fra i precursori della Rivoluzione francese vi furono Voltaire, Rousseau, d’Alembert e Diderot; nel campo della matematica, sei uomini che avrebbero indicato la direzione degli sviluppi futuri – Monge, Lagrange, Laplace, Legendre, Carnot e Condorcet – furono anch’essi coinvolti nei tumulti rivoluzionari.

Nel XIV secolo Parigi era stato uno dei centri scientifici del mondo (l’altro era Oxford), ma da lungo tempo aveva perduto questa posizione. L’Università di Parigi era rimasta indietro rispetto ai tempi. Nella Francia del XVIII secolo le università non erano come oggi centri di studi matematici, ed è difficile citare anche un solo matematico del XVIII secolo che abbia svolto la sua attività, diciamo, all’Università di Parigi. La maggior parte dei matematici francesi del tempo avevano rapporti con la chiesa o con l’esercito; altri vivevano alla corte di re e principi o si dedicavano all’insegnamento privato. Fra le parecchie enciclopedie matematiche uscite negli ultimi decenni del XVIII secolo, quella che ebbe maggior successo, a giudicare dalle numerose riedizioni, fu la serie di volumi del Cours mathématique di Bézout. Lagrange aveva pubblicato la sua Mécanique analytique (1788), oltre a numerosi articoli di algebra, di analisi e di geometria. Condorcet aveva pubblicato un De calcul intégral fin dal 1765 e un Essai sur l’application de l’analyse à la probabilité des decisions rendues à la pluralité des voix nel 1785. Monge aveva pubblicato numerosi articoli matematici sugli Atti della Académie des Sciences. Attraverso le sue numerose attività Monge era diventato, al tempo della rivoluzione, uno degli scienziati francesi più famosi. Di fatto, la sua fama di fisico e di chimico era forse superiore a quella di matematico, poichè la sua geometria non era ancora stata riconosciuta e valutata in misura adeguata alla sua importanza.La Géométrie descriptive, il suo capolavoro, non era stata pubblicata perché i suoi superiori ritenevano che dovesse essere tenuta segreta nell’interesse della difesa nazionale. Laplace e Legendre collaboravano regolarmente a periodici scientifici, mentre Carnot nel 1786 aveva già pubblicato una seconda edizione del suo Essai sur les machines en général, oltre a composizioni poetiche e a un’opera sulle fortificazioni.

Agli inizi del periodo rivoluzionario (1790), Talleyrand propose la riforma dei pesi e delle misure.Il problema fu demandato all’Académie des Sciences, che incaricò un comitato. Del comitato facevano parte quattro matematici: Lagrange, Laplace, Legendre e Monge. Il sistema metrico rappresenta, naturalmente, uno dei risultati matematici più tangibili della Rivoluzione Francese, ma dal punto di vista dello sviluppo teorico della matematica il suo significato non è minimamente paragonabile a quello di altri contributi.

CONDORCET (1743-1794)

 Condorcet  apparteneva al circolo di intellettuali raccolti attorno a Voltaire e a d’Alembert. Era un abile matematico e aveva pubblicato libri sulla teoria delle probabilità e sul calcolo integrale. Fiducioso nella perfettibilità del genere umano e convinto che l’educazione avrebbe eliminato ogni vizio, difendeva un sistema di educazione pubblico e gratuito, idea mirabilmente lungimirante, specialmente a quei tempi. Condorcet deve forse la sua fama maggiore nel campo della matematica al fatto di essere stato un precursore della matematica applicata a problemi sociali, soprattutto attraverso l’applicazione del calcolo delle probabilità e della statistica a tali problemi. Con l’avvento della Rivoluzione, gli interessi di Condorcet si volsero dalla matematica ai problemi politici e amministrativi. Nel 1792 pubblicò il proprio schema per un sistema educativo rinnovato; ma la proposta di un’educazione gratuita diventò il bersaglio di attacchi e critiche. Nel 1794 fu arrestato ma fu trovato morto in cella, probabilmente suicida.

MONGE (1746-1818)

  Più importanti, per il futuro della matematica, furono gli sforzi di Monge, volti a fondare una scuola per la preparazione degli ingegneri. Nacque così la famosa école polytechnique e Monge svolse un ruolo essenziale in ogni stadio della sua creazione. Monge tenne corsi universitari su due discipline matematiche entrambe essenzialmente nuove rispetto ai programmi di studio tradizionali. La prima era allora nota col nome di stereotomia, corrispondente a quella che oggi viene più comunemente chiamata geometria descrittiva. Oltre allo studio delle ombre, della prospettiva e della topografia, Monge rivolgeva la sua attenzione alle proprietà delle superfici, comprese rette normali e piani tangenti, e alla teoria delle macchine. Fra i problemi formulati da Monge v’era, per esempio, quello di determinare la curva di intersezione di due superfici ciascuna delle quali è generata da una retta che nel suo moto interseca tre rette sghembe dello spazio. Un altro problema riguardava la determinazione di un punto dello spazio equidistante da quattro rette date. Problemi del genere sono indicativi di un cambiamento intervenuto nell’educazione matematica sotto gli auspici principalmente della Rivoluzione Francese. Possiamo dire che, mentre il XVII secolo fu il secolo dello studio delle curve –la cicloide, la concoide, la catenaria, la lemniscata, la spirale equiangola, le iperboli, le parabole e le spirali di Fermat, le perle di Sluse, e molte altre- il XVIII secolo fu il secolo che iniziò realmente lo studio delle superfici. La nascita della geometria analitica solida fu dovuta,in parte, alle attività matematiche e rivoluzionarie di Gaspard Monge. Le lezioni che Monge tenne all’ école normale nell’anno accademico 1794-1795 vennero pubblicate  con il titolo Géométrie descriptive . Il concetto che sta alla base della nuova geometria descrittiva, ossia del metodo della doppia proiezione ortogonale, è abbastanza facile da capire. Questo semplice procedimento, oggi così comune nel disegno meccanico, ai tempi di Monge provocò quasi una rivoluzione nella tecnica del disegno usata dagli ingegneri militari. All’école polytechnique egli tenne anche un corso sulla “applicazione dell’analisi alla geometria”. L’espressione abbreviata “geometria analitica” non era ancora entrata nell’uso corrente; così era anche per l’espressione “geometria differenziale”, ma il corso tenuto da Monge era essenzialmente un’introduzione a quest’ultima disciplina. Anche in questo campo non esistevano manuali scolastici, e così Monge si trovò costretto a scrivere e a fare stampare i suoi Feuilles d’analyse (1795) a uso degli studenti. Qui per la prima volta la geometria analitica nello spazio acquistava realmente una propria configurazione e indipendenza, questo corso formò il prototipo degli attuali programmi universitari di geometria analitica solida. Nel 1802 apparve un’ampia memoria di Monge e Hachette intitolata Application d’algèbre à la géométrie. Il teorema con cui si apriva questa memoria è tipico di una trattazione più elementare dell’argomento. Si tratta della generalizzazione del teorema di Pitagora molto nota nel XVIII secolo: la somma dei quadrati delle proiezioni di una figura piana su tre piani tra loro perpendicolari è uguale al quadrato dell’area della figura. Monge e Hachette dimostravano questo teorema esattamente allo stesso modo in cui lo si trova dimostrato  nei corsi moderni; di fatto, l’intero volume potrebbe servire senza difficoltà come testo in una scuola del nostro secolo. Le equazioni per la trasformazione delle coordinate, la convenzionale trattazione delle rette e dei piani, la determinazione dei piani principali di una quadrica, sono argomenti che vi vengono discussi estesamente e completamente. E’ nella geometria analitica di Monge, più che in quella di Clairaut e di Eulero, che si trova per la prima volta uno studio sistematico della retta nello spazio.

Lagrange rimase così colpito dall’opera di Monge che, a quanto si racconta, avrebbe esclamato: “Con la sua applicazione dell’analisi alla geometria questo uomo diabolico si conquisterà l’immortalità!”.

CARNOT (1753-1823)

  Monge fu una figura di primo piano della Rivoluzione Francese; tuttavia il matematico il cui nome era sulla bocca di tutti i francesi durante la Rivoluzione non era Monge ma Lazare Carnot.

Carnot  era interessato ai problemi dell’educazione a ogni livello, anche se sembra che non abbia mai insegnato. Nel 1797 Carnot scrisse le Réflexions sur la métaphysique du calcul infinitésimal che godettero di una vasta popolarità. Nella seconda metà del XVIII secolo nessuno dei metodi allora comunemente usati nel calcolo infinitesimale, nè quello newtoniano delle flussioni, nè quello di Leibniz basato sul concetto di differenziale, e neppure quello di d’Alembert che utilizzava il concetto di limite, sembrava soddisfacente. I diversi metodi adottati nel calcolo infinitesimale, secondo l’opinione di Carnot, non erano altro che semplificazioni dell’antico metodo di esaustione.

Oggi, però, la fama di Carnot è legata soprattutto ad altre opere. Nel 1801 pubblicò un lavoro intitolato De la corrélation des figures de géométrie, anch’esso caratterizzato da un alto grado di generalità. In esso Carnot cercò di dare alla geometria pura un grado di universalità paragonabile a quello goduto dalla geometria analitica. Nel 1803 Carnot diede ampio sviluppo alla sua teoria della correlazione tra figure geometriche nella Géométrie de position, un’opera che lo colloca accanto a Monge come fondatore della moderna geometria pura. Questa passione per la generalizzazione  che si riscontra nell’opera di Carnot ha costituito la principale forza propulsiva della matematica moderna, specialmente nel nostro secolo. La topologia in particolare,interessata com’è alle proprietà delle figure che rimangono invarianti attraverso una deformazione continua delle figure stesse, riempirebbe di gioia Carnot, se potesse risuscitare oggi, giacchè egli riconoscerebbe che essa va molto al di là della sua correlazione di figure geometriche. Il nome di Carnot è noto fra i matematici per un teorema che porta appunto tale nome e che apparve nel 1806 in un Essai sur la théorie des transversales. Anche questo teorema rappresenta una generalizzazione di un risultato conosciuto sin dall’antichità. Una speculazione lo portò alla rovina finanziaria nel 1809.

LEGENDRE (1752-1833)

 Nel 1794, l’anno del Terrore, Legendre pubblica i suoi famosi Eléments de géométrie, che tanto successo ebbero anche nelle scuole americane. Numerosi furono i campi in cui Legendre realizzò progressi significativi, ma essi si collocavano quasi tutti al di fuori della geometria: riguardavano la teoria delle equazioni differenziali, il calcolo differenziale e integrale, la teoria delle funzioni, la teoria dei numeri e la matematica applicata. Compose un trattato in tre volumi intitolato Exercises du calcul intégral (1811-1819) che rivaleggiò con quello di Eulero per completezza e prestigio; più tardi sviluppò alcune parti di questo trattato in altri tre volumi comprendenti il Traité des fonctions elliptiques et des intégrales eulériennes (1825-1832). Inoltre, cosa ancor più importante, elaborò alcuni strumenti analitici fondamentali, che portano il suo nome e si rivelarono molto utili alla fisica matematica. Legendre fu una figura importante anche nel campo della geodesia, dove sviluppò il metodo statistico dei minimi quadrati. Le memorie dell’Institut contengono anche uno dei tentativi di Legendre di dimostrare il postulato delle parallele, ma fra tutti i suoi contributi matematici Legendre preferiva i lavori sugli integrali ellittici e sulla teoria dei numeri. Pubblicò un Essai sur la théorie des nombres (1797-1798) in due volumi, il primo trattato dedicato esclusivamente a questo argomento. La sua attenzione fu attirata dall’ultimo teorema di Fermat, e verso il 1825 diede una dimostrazione della sua insolubilità per n=5. Quasi altrettanto famoso è un teorema sui numeri congrui pubblicato da Legendre sempre nell’ Essai  del 1797-1798.

LAGRANGE (1736-1813)

  Appena fondate l’Ecole Normale e l’Ecole Polytechnique, Lagrange fu invitato a tenervi corsi di analisi.Il nuovo sistema degli studi richiedeva la preparazione di appunti o dispense che riassumessero il contenuto delle lezioni: Lagrange ne redasse diverse serie a vari livelli. Per gli studenti dell’école normale del 1795 preparò e tenne lezioni che oggi sarebbero adatte per il primo anno di un corso universitario di algebra superiore; il contenuto di queste lezioni godette di una vasta popolarità che si estese sino all’America, dove vennero pubblicate in una versione inglese intitolata Lectures on Elementary Mathematics. Per i corsi di livello superiore dell’école polytechnique, Lagrange tenne lezioni di analisi e preparò un testo che da allora è sempre stato considerato un classico della matematica: si tratta della sua Théorie des fonctions analytiques, apparsa nello stesso anno che vide la pubblicazione delle Réflexions di Carnot: con entrambe queste opere l’anno 1797 iniziò l’età del rigore in matematica. Lagrange viene generalmente considerato come il più acuto matematico del XVIII secolo, paragonabile soltanto a Eulero: la sua opera presenta, infatti, parecchi aspetti che non si possono facilmente illustrare in una esposizione elementare come la nostra. Fra questi va annoverato il primo, e forse più grande, contributo di Lagrange: il calcolo delle variazioni. Fu durante il periodo berlinese che Lagrange pubblicò importanti memorie su problemi di meccanica, come quello dei tre corpi, formulò per la prima volta il suo nuovo procedimento di calcolo delle derivate e compose un importante lavoro sulla teoria delle equazioni. Nel 1767 pubblicò una memoria sul metodo di calcolare il valore approssimato delle radici di equazioni polinomie per mezzo di frazioni continue; in un altro lavoro del 1770 considerò la risolvibilità delle equazioni in termini di permutazione effettuate sulle loro radici.Fu quest’ultimo lavoro che doveva portare alla teoria dei gruppi, che più tardi avrà così largo successo, e alle dimostrazioni di Galois e di Abel della non risolvibilità, con i metodi ordinari, delle equazioni di grado superiore al quarto. Il nome di Lagrange è oggi legato a quello che è forse il teorema più importante della teoria dei gruppi: se o è l’ordine di un sottogruppo g di un gruppo G di ordine O, allora o è un fattore di O.

Lagrange trovò che l’ equazione risolvente di un’equazione di quinto grado non solo non era di grado inferiore al quinto, come ci si sarebbe aspettato, ma era addirittura un’equazione di sesto grado. Da tale constatazione Lagrange trasse la congettura che le equazioni polinomie di grado superiore al quarto non fossero risolvibili con i metodi abituali. Elaborò anche il metodo di variazione dei parametri nella risoluzione di equazioni differenziali lineari non omogenee.

Come molti altri matematici moderni di primo piano, anche Lagrange aveva un profondo interesse per la teoria dei numeri. Nel 1770 pubblicò una dimostrazione del teorema (di cui Fermat pretendeva di aver dato una prova) secondo il quale ogni numero intero positivo è la somma di non più di quattro quadrati perfetti; pertanto questo teorema spesso è noto come il teorema di Lagrange dei quattro quadrati.

LAPLACE (1749-1827)

   Fu professore all’ècole normale e all’ècole polytechnique, ma diversamente da Monge e da Lagrange non pubblicò i testi delle sue lezioni. Le sue pubblicazioni concernevano principalmente la meccanica celeste: in questo campo egli si affermò come la figura più significativa del periodo successivo a Newton e Napoleone, grande ammiratore di scienziati, lo nominò Ministro della Pubblica Istruzione. La teoria delle probabilità è debitrice a Laplace più che a ogni altro matematico. A partire dal 1774 scrisse numerose memorie sull’argomento, raccogliendo infine i risultati via via raggiunti nel suo classico trattato Théorie analytique des probabilités del 1812. Egli trattò questa teoria sotto tutti gli aspetti e a ogni livello, e nel 1814 pubblicò il suo Essai philosophique des probabilités per offrire una esposizione introduttiva al lettore non specializzato. Laplace scrisse che “in fondo la teoria delle probabilità è soltanto senso comune espresso in numeri”; la sua Théorie analytique, però, rivela la mano di un grande analista che conosce bene l’analisi superiore. Fra i molti punti su cui Laplace richiamò l’attenzione nell’opera appena citata vi era il calcolo del pigreco mediante il problema dell’ago di Buffon, che era stato quasi dimenticato per trentacinque anni. Questo è spesso conosciuto come il problema dell’ago di Buffon-Laplace.

Laplace trasse dall’oblio anche le ricerche di Baynes sulla probabilità inversa. Nel trattato di Laplace troviamo esposta anche la teoria dei minimi quadrati, che era stata creata da Legendre, con l’aggiunta di una dimostrazione formale che Legendre non era riuscito a dare. La Théorie analytique contiene anche la trasformata di Laplace, di grande utilità nelle equazioni differenziali.

In uno scritto molto tecnico del 1782 intitolato Théorie des attractions des sphéroides et de la figure des planètes, incluso anche nella Mécanique céleste, Laplace sviluppò il concetto di potenziale, rivelatosi molto utile nel campo della fisica. La pubblicazione della Meccanica celeste di Laplace viene solitamente considerata come il punto di arrivo culminante della concezione newtoniana della gravitazione.

Laplace e Lagrange, i due matematici di maggior rilievo della Rivoluzione, avevano sotto molti aspetti concezioni opposte. Per Laplace la natura costituiva l’essenza, e la matematica rappresentava soltanto un bagaglio di strumenti che egli sapeva maneggiare con straordinaria destrezza; per Lagrange la matematica era un’arte sublime fine a se stessa. La matematica della Meccanica celeste è stata spesso descritta come difficile, ma nessuno ha mai detto che è elegante; la Meccanica analitica, al contrario, è stata definita un “poema scientifico” per la perfezione e grandiosità della sua struttura.

Chiudiamo questa piccola riflessione con l’anno 1799, quando Napoleone conquistò il potere e il periodo della Rivoluzione si può considerare concluso. Tale data, però, non segna la fine delle attività dei “nostri” matematici: ciascuno di essi continuò a portare contributi alla matematica. Se possiamo trarre una lezione dai fatti successi due secoli fa è che le cose che realmente contano nella matematica, e che hanno un influsso duraturo, non sono quelle dettate da immediati bisogni pratici.

Anche in periodi di grandi sconvolgimenti politici e sociali sono le cose dello “spirito”, nel senso francese del termine, quelle che contano di più, e questo spirito viene forse impartito nel modo migliore da grandi maestri. Ma forse ancor più importante di questa lezione è la morale illustrata da Carnot, ossia che non ci si dovrebbe mai perdere d’animo, per quanto deludente sia la situazione politica o intellettuale.

100 TAVOLE  IN  MOSTRA

  I due volumi dell’inglese Cyclopaedia  or Universal Dictionary of Art and Sciences di Chambers, apparsa a Londra nel 1728 in due volumi, che costituisce l’immediato precedente per la realizzazione dell’ Encyclopédie, conteneva 30 tavole; per l’Encyclopédie ne erano previste 120. Diderot, già nel Prospectus, ne aveva elevato il numero a 600, ma complessivamente le incisioni dei volumi delle Planches  diventarono 3000. Di queste, circa 2900 sono dedicate a processi produttivi artigianali o industriali. Diderot era fermamente convinto che un’occhiata all’oggetto o una sua fedele rappresentazione potesse essere assai più utile, sul piano informativo, di un’elencazione compilativa di molte pagine. Diderot aveva perfettamente compreso quanto fosse necessario il disegno tecnico come indispensabile linguaggio per una razionale divulgazione degli argomenti pratici. Diderot inviò disegnatori negli opifici a riprodurre, con la massima cura, macchine e utensili e tutto ciò che poteva servire per aumentare la chiarezza della descrizione: un’impresa titanica se si tiene conto della quantità degli oggetti e dei processi presi in esame, anche ammettendo che non tutte le incisioni siano state tratte da disegni originali, ma talvolta abbiano avuto come modelli quelle dell’Académie. Quanto ai processi produttivi, il numero delle illustrazioni sarebbe diventato infinito se fossero stati rappresentati ad esempio tutti i passaggi che consentono di trasformare una barra di ferro in un ago. La rappresentazione, in questi casi, doveva essere limitata ai movimenti davvero essenziali dell’operaio e dunque alle fasi della lavorazione che erano più facili non soltanto da disegnare ma anche da spiegare. “Ci siamo limitati a rappresentare i momenti salienti”, dice Diderot, “la cui efficace riproduzione permette di capire quali siano state le altre fasi non visibili della sequenza”. Non c’è da stupirsi se, nel complesso, questo modo di procedere ha comunque dato origine a un numero molto alto di tavole. Ed è notevole il fatto che questo impegnativo lavoro di disegno e incisione sia stato compiuto in un tempo relativamente breve.

Gli autori dell’Encyclopédie si erano impegnati a dare una visione davvero aggiornata delle tecnologie in uso. Proposito eccellente che naturalmente non aveva però potuto essere del tutto realizzato. Era infatti inevitabile che un’opera di quella mole e quelle pretese dovesse presentare disomogeneità, lacune ed errori.Di fatto si riuscì a dare soltanto un quadro piuttosto statico del mondo tecnologico “di prima”, anche se con un’ampiezza, una chiarezza, una qualità grafica e artistica fino a quel momento mai viste, quadro statico che per altro sembrava sollecitare un mutamento. Si trattava qui, come nelle Descriptions, delle ultime immagini della letteratura tecnico- scientifica che, in contrasto con quanto avveniva nei disegni tecnici, impostati matematicamente e geometricamente, presentavano in ogni processo anche l’uomo insieme all’attrezzo o alla macchina. Queste tavole perciò ci informano anche sugli ambienti e su quanto fossero duri allora certi lavori e si configurano, per una storia sociale del lavoro in quel periodo, come una fonte di valore particolare cui non si è ancora sistematicamente attinto.

La necessità delle illustrazioni trovava giustificazione, secondo i buoni principi della filosofia sensista, nell’imperfezione dei linguaggi tecnici in generale, imperfezione dovuta a una lunga tradizione di indifferenza nei riguardi degli “oggetti della vita”: “La scarsa consuetudine sia a scrivere che a leggere scritti sulle arti rende difficile spiegare le cose in maniera intelligibile; donde l’esigenza di illustrazioni. Si potrebbe dimostrare con mille esempi che un vocabolario linguistico puro e semplice, per bene che sia fatto, non può far a meno di figure senza incorrere in definizioni oscure e vaghe; quanto più dunque e a maggior ragione tale ausilio era necessario per noi. Un’occhiata all’oggetto o alla sua rappresentazione ne dice di più che non una pagina scritta” (da “Prospectus” di Diderot).

In questa mostra vengono presentate 100 tavole, delle 2794 dell’opera di Diderot e d’Alembert, che più direttamente possono richiamare la matematica e la geometria applicata alla natura, ad altre scienze e al lavoro dell’uomo: nell’architettura, nell’astronomia,nelle tecniche artistiche, nella musica e negli strumenti, nelle scienze e nelle tecniche tradizionali, nell’arte militare e nei mestieri della vita quotidiana. Il “cuore” della mostra è rappresentato, naturalmente, dalle Tavole di Matematica, nel quinto tomo della “Raccolta”, eseguite sotto la direzione di d’Alembert, che ne diede la spiegazione, fatta eccezione per la macchina aritmetica di Pascal, presentata da Diderot. Ciò che le rende soprattutto interessanti è lo squilibrio che contraddistingue la serie. All’Algebra non spettano che due tavole, come all’Analisi. Le macchine idrauliche invece, con le spiegazioni di Diderot, ne occupano venticinque. Come dire che la matematica pura interessa gli editori assai meno delle sue applicazioni pratiche.Il posto che ha in questa serie la fabbricazione degli strumenti di misura riflette la stessa preoccupazione. Quella che Diderot aveva espresso, fin dal 1753, nell’Interprétation de la nature: “La sfera delle matematiche è un mondo dell’intelletto, dove ciò che viene assunto come assoluta verità perde completamente questa prerogativa quando lo si riporta sulla terra. Se ne è dedotto che spettava alla filosofia sperimentale rettificare i calcoli della geometria, conclusione accettata persino dai matematici. Ma a che pro correggere il calcolo geometrico in base all’esperienza? Non è più semplice attenersi ai risultati di questa? Dal che si vede come la matematica,soprattutto quella trascendentale, non conduca a nulla di preciso senza l’esperienza”. Seguendo il filo di questo ragionamento la parte “matematica” della Raccolta va ben oltre la serie di tavole dell’inizio del quinto tomo, sia pur arricchita dal Supplemento: essa in pratica copre tutto il campo delle arti meccaniche…

Le 25 tavole di astronomia valgono molto meno del corpus di articoli dedicati a questa scienza nell’Enciclopedia. Le tavole del quinto tomo, preparate sicuramente agli inizi dell’impresa, sono quasi tutte tratte da Chambers. Le migliori, e più numerose, concernono la strumentazione.

–         L’ARCHITETTURA E LA COSTRUZIONE………………………..  12  TAVOLE

–         LE TECNICHE ARTISTICHE……………………………………….   6  TAVOLE

–         LA MUSICA E GLI STRUMENTI…………………………………..   2  TAVOLE

–         MINERALOGIA: geometria sotterranea……………………………    1  TAVOLA

–         ASTRONOMIA ………………………………………………………  17  TAVOLE

–         GEOMETRIA E MATEMATICA ………………………………….  19  TAVOLE

–         GNOMONICA ……………………………………………………….   9  TAVOLE

–         NAVIGAZIONE ………………………………………………………   1  TAVOLA

–         MECCANICA …………………………………………………………   5 TAVOLE

–         OTTICA ………………………………………………………………   6 TAVOLE

–         GEOGRAFIA …………………………………………………………   2 TAVOLE

–         TOPOGRAFIA E CARTOGRAFIA ………………………………….  3 TAVOLE

–         TAGLIO DEI LEGNI …………………………………………………  2 TAVOLE

–         OROLOGERIA ……………………………………………………….  1 TAVOLA

–         LA FUSIONE DELLE CAMPANE …………………………………..  1 TAVOLA

–         ARTE MILITARE …………………………………………………….  4 TAVOLE

–         MARINA E ARCHITETTURA  NAVALE……………………………  2 TAVOLE

APPENDICE: Dal discorso preliminare di Jean Le Rond d’Alembert

 Nota: Una annotazione particolare merita l’ottimo CDROM  “L’ENCYCLOPEDIE” della DeAgostini Multimedia che presenta la vita nel ‘700 attraverso le 2794 tavole dell’opera di Diderot e D’Alembert.

BIBLIOGRAFIA

 –         Encyclopédie, ou Dictionnaire Raisonné des Sciences, des Arts et des Métiers, par une Societé de Gens de Lettres. Mis en ordre et publié par M.Diderot, de l’Académie Royale des Sciences et des Belles Lettres de Prusse ; et quant à la Partie Mathematique, par M. d’Alembert, de l’Académie Royale des Sciences de Paris, de celle de Prusse, et de la Societé Royale de Londres, Briasson, David, Le Breton, Durand, Parigi, 1751-1780, 35 volumi, di cui 11 di tavole. Ristampa in fac-simile 1966-67.

–         Idem, traduzione italiana integrale a cura di A. Calzolari,Ricci, Milano, 1970-78, 18 volumi.

–         Antologia di testi tradotti con il titolo Enciclopedia o Dizionario ragionato delle Scienze, delle Arti e dei Mestieri, Laterza, Bari, 1968.

–         Antologia,con lo stesso titolo, a cura di A.Pons, Feltrinelli, Milano,1966.

–         L’Enciclopedia e la Rivoluzione Francese, di Orrei, Le edizioni del lavoro,Roma, 1946.

–         L’Enciclopedia: Storia, Scienza, Ideologia, di Proust, Cappelli,Bologna,1978.

A cura del Prof. Baldoni Renzo, Direttore del Museo.

   
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