“Infra le magnitudine delle cose che sono infra noi l’esse[re] del nulla tiene il principato”
Leonardo da Vinci (1452-1519)
Il primo zero della storia fu inciso sull’argilla fresca da uno scriba babilonese prima del III secolo a.C.; oggi è alla base della numerazione binaria, composta solo da 0 e 1, grazie alla quale funziona tutto ciò che è digitale, dai computer ai compact disk.
Ignoto ai greci e ai romani, lo zero giunge in Occidente nel medioevo attraverso gli arabi, che a loro volta ne avevano appreso la nozione dagli indiani (V secolo d.C.).
Lo zero era indicato con un piccolo cerchio, detto sunya, che significa vuoto, nulla.
In arabo sunya divenne sifr, in latino zephirum, da cui zephiro, zero.
Bollato all’inizio come opera del diavolo, diventa ben presto indispensabile alle partite doppie dei mercanti e consente, grazie alla notazione “posizionale”, gli immensi progressi della matematica. Con Newton e Leibniz, inventori del calcolo infinitesimale, lo zero assume il nuovo significato di “valore limite” e conquista un ruolo centrale non solo nel pensiero matematico, ma nella nostra stessa visione dell’universo. Prima del Big Bang c’era il nulla, oltre l’universo c’è il nulla; lo “zero assoluto” (-273,15 °C) è reale o è un’astrazione? Lo zero è “là fuori” o è una pura creazione della mente umana? Lo abbiamo scoperto o l’abbiamo inventato? Siamo, perciò, noi uomini solo creature o anche creatori? E se sì, molto o appena al di sotto degli angeli, nella nostra capacità di comprendere ciò che ci circonda?
Simbolo del nulla, lo zero è diventato indispensabile per concepire ciò che esiste.