“Vedere un mondo in un granello di sabbia e un universo in un fiore di campo, possedere l’infinito sul palmo della mano e l’eternità in un’ora”
William Blake (1757-1827)
Anche se il mondo in cui viviamo è finito, la matematica che ci serve per studiarlo coinvolge l’infinito quasi ad ogni passo: l’insieme di tutti i numeri naturali è un insieme infinito, la scrittura precisa del numero pi greco richiede infinite cifre decimali, il numero di punti sulla più piccola delle linee è infinito e così via.
Il pensiero greco si è cimentato per secoli con l’ apeiron , l’illimitato (Aristotele, Anassagora, Epicuro, Democrito). Per duemila anni, l’idea dominante nel pensiero occidentale è stata l’idea aristotelica di un infinito potenziale. Nel XVII secolo, grazie alla geometria proiettiva, l’infinito potenziale dei filosofi diventa l’infinito attuale della geometria.
Si deve al lavoro di due matematici tedeschi, Richard Dedekind e Georg Cantor , tra il 1870 e il 1880, la definizione rigorosa e comprensibile del concetto di infinito, un’idea cruciale nella storia del pensiero. Cantor dimostra che l’infinito numerabile o discreto non è l’unico infinito; che non tutti gli insiemi infiniti hanno la stessa cardinalità, che c’è un’intera gerarchia infinita di infiniti, che diventano sempre più grandi.
Cantor elabora un’aritmetica completa dei numeri transfiniti (li indica con la prima lettera dell’alfabeto ebraico, aleph), con i quali esegue dei calcoli proprio come si fa con gli altri numeri. L’edificio costruito da Cantor è stato definito dal matematico tedesco David Hilbert “il prodotto più stupefacente del pensiero matematico, una delle più belle realizzazioni dell’attività umana nel campo dell’intelletto puro”.
Eppure, ai margini di quella costruzione, ci sono delle questioni importanti ancora senza risposta, “indecidibili” per Kurt Gödel e Paul Cohen.
Il paradiso dell’infinito matematico di Cantor non è stato distrutto, ma esteso nei suoi orizzonti concettuali, su nuove frontiere, ancora più affascinanti.